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Colloquio di lavoro, i consigli per gestirlo in ogni fase

Cosa si può fare per gestire al meglio il pre e post colloquio quando si cerca un nuovo posto di lavoro? Ormai anche i giovanissimi hanno ben chiaro quanto sia strategico giocarsi tutte le carte nel modo giusto per raggiungere l’obiettivo. Ma forse non sono altrettanto chiari gli step necessari per riuscire ad emergere fra tanti candidati. A queste necessità risponde Page Personnel – agenzia del Lavoro specializzata nella selezione di giovani professionisti qualificati e brand di PageGroup – che ha stilato una sorta di “prontuario” del candidato perfetto. I consigli vanno dall’aggiornamento del curriculum vitae all’ottimizzazione del profilo Linkedin, passando dalla definizione corretta degli obiettivi alla valorizzazione dei propri punti di forza fino alla capacità di gestire un rifiuto.

La ricerca di lavoro? Stressante

“Sappiamo quanto la ricerca di lavoro possa essere stressante e complicata soprattutto per i profili più giovani e con meno anni di esperienza. Per questo abbiamo redatto un toolkit per guidare i candidati in questo percorso. Il primo consiglio che mi sento di dare, prima ancora di aggiornare il cv e inviare la propria candidatura, è definire gli obiettivi professionali e di carriera perché avere un quadro completo di ciò che si desidera (maggiori responsabilità, retribuzione più elevata, possibilità di lavorare da remoto o in una realtà internazionale, ad esempio) aiuta sicuramente ad ottimizzare la ricerca” spiega Francesca Caricchia, executive director di PageGroup.  Un altro punto determinante, poi, è legato alla valorizzazione dei punti di forza e alla gestione dei punti di debolezza: in tutti i colloqui di selezione, infatti, viene chiesto ai candidati di descrivere quali siano le proprie qualità e quali, invece, gli aspetti da migliorare. È per questo importante farsi trovare pronti anche riguardo a questo aspetto.

Essere preparati

Continua l’esperta: “Per essere più efficaci è meglio partire da fatti concreti o dai risultati raggiunti grazie al proprio lavoro. Se, ad esempio, si è stati a capo di un team, raccontare in che modo si siano acquisiti nuovi clienti e/o aumentate le vendite può davvero accrescere le chance di essere scelti. Parlare, invece, dei propri punti di debolezza può essere molto complicato, ma c’è un modo per ribaltare la situazione a proprio favore e dimostrare di essere consapevoli delle proprie lacune e, allo stesso tempo, pronti a migliorare. Se si hanno difficoltà a parlare in pubblico e/o a sostenere conversazioni in inglese, raccontare che ci si è iscritti a dei corsi può davvero fare la differenza e trasformare una situazione potenzialmente negativa in una favorevole”. Conoscere l’azienda per la quale ci si candida è, poi, un altro punto fondamentale. Sapere ciò di cui si occupa l’impresa, cosa sta cercando e chi sono le figure chiave dell’organizzazione può aiutare anche a gestire al meglio il colloquio perché dimostra quanto si è attenti e quanto si prenda sul serio l’opportunità. Infine, c’è un ulteriore aspetto spesso sottovaluto: l’importanza di una buona mail di follow up. Chiedere aggiornamenti è legittimo, e mostra anche interesse, ma la mail deve essere mandata dopo qualche giorno e soprattutto dovrebbe essere chiara ed educata, anche se non si è più interessati a quel posto di lavoro.

Vietato sprecare: i consigli utili in cucina

Focus sulla sostenibilità, anche a casa propria: a ricordare questo principio è la giornata internazionale della Consapevolezza sugli Sprechi e le Perdite Alimentari, ricorrenza annuale ogni 29 settembre. Già, perchè anche le piccole abitudini di ogni giorno possono fare la differenza in termini di impatto ambientale. Per fornire nuovi, facili strumenti ai consumatori più attenti a queste tematiche, Uber Eats ha collaborato con Fabio Iraldo, professore ordinario di management presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, per la realizzazione di un vademecum. Si tratta di semplici consigli che ognuno di noi può adottare per rendere più green la propria vita e la propria cucina e ridurre il proprio impatto sull’ambiente. Quello che si fa in cucina, infatti, ha una rilevanza significativa: la produzione e il consumo di cibo contribuisce per oltre il 35% all’impatto ambientale complessivo.

Riduzione dello spreco in 5 mosse

Nel piccolo prontuario sono raccolte cinque regole che ognuno di noi può far entrare nelle proprie abitudini in merito alla spesa e alla cucina.
La prima dritta, diventata celebre in queste settimane, è quella di spegnere i fornelli una volta avvita la cottura di un piatto e proseguire  con la cottura passiva, sfruttando la dissipazione graduale che consente di continuare a cuocere senza sprecare energia.
La seconda indicazione è di preferire le verdure completamente edibili, quelle cioè di cui non si scarta nulla: l’’impronta ambientale di quelle dove solo il frutto è commestibile è infatti molto più alta e lo spreco maggiore.
Terzo consiglio, vale la pena utilizzare i cibi “accessori” e i condimenti – come sale, zucchero e olio – con la massima attenzione (e parsimonia) poichè le loro filiere hanno un impatto rilevante.
Quarto suggerimento: per alcuni cibi, come ad esempio la pasta, il consumo idrico della fase di cottura rappresenta un impatto sull’ambiente decisamente impattante. Quando l’acqua di cottura esaurisce la propria funzione, invece di gettarla, si potrebbe riutilizzare per la preparazione di altri piatti. Lo stesso vale per l’acqua utilizzata per cuocere le verdure.
Per concludere, bisognerebbe valutare con attenzione anche il packaging: optare per prodotti alimentari che hanno un packaging più “leggero”, oppure in materiali innovativi (es. biodegradabile) oppure ancora composto di materiali riciclati, può contribuire a contrastare lo spreco e a ridurre i rifiuti.

Nel mondo si sprecano due tonnellate di cibo all’anno

“Di tutto il cibo prodotto nel mondo quasi la metà viene sprecata, circa 2 miliardi di tonnellate ogni anno. Sebbene lo spreco avvenga lungo tutta la catena alimentare, si stima che gli sperperi di noi consumatori ammontino a ben un terzo di tutte le pietanze preparate e servite sulle nostre tavole” ha sottolineato Iraldo. “Alla luce di queste considerazioni, si può constatare quindi che le persone dovrebbero essere educate e sensibilizzate sulla necessità di adottare una “dieta sostenibile” e incentivate a ridurre al massimo gli sprechi”.

È facile diventare un massoterapista?

Quella del massoterapista è una figura professionale attorno alla quale recentemente ruotano tanta curiosità e ammirazione. Questo è il motivo per cui molti di coloro i quali stanno indirizzando i propri studi verso il settore medico si chiedono se sia facile diventare un massoterapista e quale tipo di specializzazione serva.

Ciò è proprio cui ci concentreremo di seguito: prima però desideriamo porre i riflettori su questa professione e spiegare in dettaglio chi sia un massoterapista e cosa faccia esattamente.

Chi è e cosa fa un massoterapista?

Un massoterapista è un professionista che effettua specifici massaggi terapeutici che interessano sia l’apparato muscolare che quello scheletrico.

Lo scopo è quello di dare sollievo alla zona in cui il paziente avverte fastidio, consentendo di recuperare una piena mobilità dell’arto o della parte interessata.

È molto interessante sottolineare il fatto che è un massoterapista sia in grado di agire anche a livello psichico: esistono infatti specifici massaggi che consentono di ridurre progressivamente la quantità di stress accumulata e dunque consentire al paziente di raggiungere uno stato mentale decisamente più sereno e rilassato.

Parliamo dunque di una tecnica riabilitativa, o all’occorrenza preventiva, particolarmente efficace nei confronti di parecchie patologie che riguardano i nostri muscoli o l’apparato scheletrico, nonchè vasi sanguigni e linfatici.

Chi si rivolge ad un massoterapista?

Tipicamente si rivolgono ad un massoterapista i pazienti che avvertono delle contratture muscolari o comunque indolenzimenti di vario tipo. Hanno bisogno di un massoterapista anche gli sportivi che desiderano velocizzare i tempi di recupero da un infortunio o semplicemente ridurre le fatiche dovute ad una gara o un allenamento.

Il massaggio effettuato da un massoterapista è inoltre molto utile anche per lavorare sulla cellulite e la ritenzione idrica.

Come accennato in precedenza, si rivolgono ad un massoterapista anche quelle persone che sono interessate da un forte stato di stress psicofisico e che decidono di rivolgersi ad un professionista che possa lavorare sulla muscolatura per portarla nuovamente ad uno stato di distensione.

Come si diventa massoterapista?

Per diventare massoterapista è necessario conseguire una laurea in massofisioterapia, la quale si può ottenere frequentando un corso di 3 anni promosso dalle singole regioni.

In occasione di questi, corsi l’aspirante massoterapista va a studiare materie come ad esempio anatomia del corpo umano, biologia, chimica, fisica, immunologia, endocrinologia, farmacologia ed infine patologia.

Tali corsi prevedono non soltanto la parte teorica, che di per sé è importantissima, ma anche la parte pratica. In occasione di questa è possibile effettuare diverse esercitazioni inerenti il massaggio nonché effettuare dei tirocini presso strutture già operative.

Ogni studente chiaramente è libero di approfondire ulteriormente i suoi studi frequentando specifici corsi di massoterapia per comprendere meglio determinati aspetti della materia o specializzarsi in un particolare ambito.

Come in tutte le cose, più ci si forma e migliore è la qualità della formazione che si riceve, maggiori sono le possibilità di diventa un bravo professionista.

Il percorso per diventare massoterapista è uguale a quello per diventare fisioterapista?

Sebbene siano due professioni molto vicine tra loro, c’è una sostanziale differenza tra il percorso formativo di un massoterapista e quello di un fisioterapista.

Il secondo infatti necessita di seguire un apposito corso di laurea in fisioterapia della durata di 3 anni. Si tratta in particolar modo di una facoltà a numero chiuso, ragion per cui per accedere è necessario effettuare il classico test di ingresso.

Dunque i servizi di un massoterapista sono oggi ampiamente riconosciuti e ricercati, in maniera trasversale da uomini e donne nonché giovani e anziani, e consentono di ottenere un concreto benessere superando eventuali stati di dolore o affaticamento.

Boom di dimissioni, ma un milione di contratti in più 

I numeri del mercato del lavoro in Italia vanno letti con attenzione per superare l’apparente contraddizione di due trend opposti, ma che invece sono complementari. Nel suo rapporto dell’Osservatorio sul precariato l’Inps evidenzia infatti un boom di dimissioni, ma anche un milione di contratti in più. Analizzando le cessazioni dei contratti a tempo indeterminato nel primo semestre dell’anno, con riferimento alla causa di cessazione, il primo fattore da considerare è l’effetto dell’uscita dalla pandemia. Nel primo semestre 2022 i flussi nel mercato del lavoro, tra assunzioni, trasformazioni, e cessazioni, hanno completato la ripresa dei livelli pre-pandemici, compromessi nel biennio 2020-2021 dalle chiusure e restrizioni dovute all’emergenza sanitaria. E segnalano incrementi rispetto al 2018-2019, sia nel numero di assunzioni e trasformazioni, sia in quello delle cessazioni.

Contratti: nel primo semestre 2022 saldo positivo di oltre 946mila

Nei primi sei mesi dell’anno, i datori di lavoro privati hanno effettuato 4.269.179 assunzioni e 3.322.373 cessazioni di contratto di lavoro, per un saldo positivo che supera i 946 mila contratti. Sempre nel primo semestre 2022, le dimissioni invece registrano un consistente incremento (+22% e +28% rispetto ai corrispondenti periodi 2021 e 2019). Il livello raggiunto di oltre 600.000 dimissioni sottende il completo recupero delle dimissioni mancate nel 2020, quando tutto il mercato del lavoro era stato investito dalla riduzione della mobilità, connessa alle conseguenze dell’emergenza sanitaria.

Aumentano i licenziamenti

Se si considerano anche le interruzioni volontarie dei rapporti di lavoro a termine, riferisce Adnkronos, le dimissioni diventano un milione, per un aumento del 31,73% rispetto allo stesso periodo del 2021.  I licenziamenti di natura economica e disciplinari registrano poi un forte aumento rispetto al primo semestre 2021 (rispettivamente +121% e +36%). Tuttavia il dato va messo in relazione alle deroghe normative varate con i decreti anti-Covid nel 2021. Per contestualizzare questa dinamica, occorre ricordare che fino al 30 giugno 2021 (per gran parte dell’industria) o fino al 31 ottobre 2021 (per il terziario e il resto dell’industria) i licenziamenti economici erano bloccati dalle normative specifiche introdotte nel 2020.

I licenziamenti economici diminuiscono rispetto al 2019 

Per i licenziamenti economici, chiarisce l’Inps, il più pertinente confronto con il 2019 rileva però una contrazione, con circa 50.000 licenziamenti in meno sia rispetto al 2018 sia al 2019 (-21%). In continua crescita, invece, dopo la modesta flessione del 2020, risultano i licenziamenti disciplinari: nel primo semestre 2022 sono poco più di 60.000, circa un terzo in più rispetto al corrispondente semestre del 2019.

Aumentano i malware che mirano a credenziali e dati dei gamer

Nella prima metà 2022 aumentano le attività dei criminali informatici che prendono di mira i gamer. Rispetto al 2021, il numero di utenti attaccati da software malevoli, che raccolgono dati sensibili e si diffondono sotto le sembianze di alcuni videogiochi più popolari, è aumentato del 13%. 
Nel tentativo di scaricare gratuitamente nuovi giochi da risorse non affidabili, i gamer hanno ricevuto software dannosi, perdendo denaro e i loro account di gioco. Quanto alle minacce per videogiochi più diffuse, tra il 1° luglio 2021 e il 30 giugno 2022, sono più di 384.000 utenti colpiti da quasi 92.000 file unici dannosi o indesiderati che imitavano 28 videogiochi o serie di giochi. È quanto emerge dal report sulle minacce legate al gioco pubblicato da Kaspersky.

Software dannosi che imitano giochi popolari

Tra gli attacchi effettuati tramite software dannosi che rubano dati sensibili dai dispositivi infetti si evidenziano Trojan-PSW, che raccolgono le credenziali degli utenti presi di mira, Trojan-Banker, che rubano i dati di pagamento, e Trojan-GameThief, che raccolgono le informazioni di login per gli account di gioco. Dal 1° luglio 2021 al 30 giugno 2022 Kaspersky ha rilevato 3.705 file unici che distribuivano questo software dannoso sotto le sembianze di giochi popolari o serie di giochi. Il numero di questi file unici utilizzati per infettare gli utenti nella prima metà del 2022 è aumentato di quasi un quarto (1.868) rispetto allo stesso periodo del 2021 (1.530).

Scaricare i giochi da pagine web di terze parti per risparmiare

Molti file dannosi rubano le informazioni di accesso agli account di gioco o i dati bancari. Nella maggior parte dei casi, gli utenti ricevono questi file dannosi perché invece di effettuare il download dei giochi dai siti ufficiali provano a scaricarli gratuitamente da pagine web di terze parti.
Giochi noti come Roblox, FIFA o Minecraft, così come le nuove parti di grandi serie di giochi (Elden Ring, Halo e Resident Evil) sono stati attivamente sfruttati dagli aggressori che hanno diffuso il malware RedLine, un password stealer che estrae dati sensibili come password, dettagli delle carte di credito, portafogli di criptovalute e credenziali per i servizi VPN.

Pagine di phishing che imitano l’interfaccia degli store in-game

Dal 1° luglio 2021 al 30 giugno 2022, 2.362 utenti unici sono stati attaccati con RedLine, solitamente venduto a un prezzo molto basso su vari forum per cybercriminali, motivo per cui gode di un’enorme popolarità. Oltre a diffondere file dannosi, gli attaccanti continuano a creare e promuovere attivamente nuove pagine di phishing dedicate al gaming. Imitando l’intera interfaccia degli store in-game di CS:GO, PUBG e Warface, i truffatori creano pagine fraudolente, offrendo agli utenti un discreto arsenale di armi e artefatti gratuiti. Per ricevere l’omaggio, i gamer devono inserire i dati di accesso ai loro account di social network, e dopo essersi impossessati degli account, gli attaccanti cercano nei messaggi personali i dettagli delle carte di credito o chiedono denaro a vari amici della vittima.

Boom per creme antietà e skincare “democratico”

Nell’ultimo anno, creme, maschere e gel antirughe sono tra i prodotti preferiti nei carrelli della spesa degli italiani. Forse perché se in piena pandemia i prodotti più usati erano quelli per disinfettare le mani, ora in calo del -33% di vendite nella grande distribuzione, levando le mascherine abbiamo visto quanto siamo invecchiati. Di fatto, lo skincare è una categoria tra le più vendute, e anche quella che sta subendo un veloce processo di ‘democratizzazione’ verso prezzi più bassi e qualità più elevata. I prodotti dedicati allo skincare pesano infatti per oltre il 17% dei consumi di cosmetici degli italiani, con 1.510 milioni di euro spesi e una crescita dei consumi del +9,3%. Lo segnalano gli analisti NielsenIQ, che hanno partecipato alla presentazione del 54° rapporto annuale a cura del Centro Studi di Cosmetica Italia, l’associazione nazionale delle imprese cosmetiche.

Stiamo invecchiando, e le industrie beauty si adeguano

“Stiamo invecchiando – dichiara Alessandra Coletta, analista NielsenIQ – e nei prossimi dieci anni il cambiamento sarà ancora più evidente, con un picco che si sposterà a 56-70anni. Questo significa che le industrie beauty si dedicheranno sempre di più alle famiglie più vecchie e meno verso quelle con bambini”.
Nonostante le fragranze stiano trainando i fatturati in termini di valori in tutti i paesi europei, “si tratta di un effetto legato a diversi elementi, in primis l’aumento dei prezzi – precisa Sylvie Cagnoni, di NDP -. La vera rivelazione dell’anno sono i prodotti dello skincare, che in termini di volumi sono la categoria più dinamica, crescendo in termini di pezzi venduti con nuove marche e un posizionamento più democratico”.

La cura della pelle trova risposte soprattutto sui social

La cura della pelle è quindi al centro delle nostre attenzioni e trova risposte soprattutto sui social., riporta Ansa. TikTok, Instagram e Youtube sono le piattaforme più battute da influencer e celebrities per spiegare i vantaggi dei loro nuovi brand ‘democratici’. La democratizzazione dello skincare si vede anche in profumeria, trainata da nuovi brand, emergenti, innovativi e spesso ideati dalle celebreties che hanno invaso il mercato. Questo significa prezzi più bassi, ma anche creme originali, ben formulate ed efficaci, che si affiancano ai sieri di brand iconici riconosciuti in tutto il mondo, ma dai prezzi molto più alti.

I nuovi brand sfidano i marchi più rinomati

I nuovi brand specializzati in skincare stanno sfidando i marchi più rinomati puntando all’aspetto clinico, ovvero all’uso di ingredienti testati, con una solida base scientifica e clinica, frutto di tecnologia e ricerca. Ingredienti e ‘ricerca’ scientifica sono quindi le componenti fondamentali dei prodotti.
“Poi ci sono i prodotti ideati per pelli sensibili, per la difesa della pelle in città inquinate, contro le aggressioni climatiche – continua Cagnoni -. I nuovi sieri si fondono anche col make-up con la nascita di prodotti ad effetto ‘glow’, ibridi tra trattamento e trucco, che scalzano i classici fondotinta”.

Istat e il clima di fiducia di imprese e consumatori: basso come nel 2020

Si torna indietro, per la precisione a maggio 2020: parliamo del clima di fiducia espresso da consumatori e aziende, in base alle rilevazione dell’Istat. A luglio, infatti, l’Istituto di Statistica stima una diminuzione sia dell’indice del clima di fiducia dei consumatori (da 98,3 a 94,8) ai minimi da maggio 2020, sia dell’indice composito del clima di fiducia delle imprese (da 113,4 a 110,8). Per quest’ultime, riporta una nota dell’Istat a commento del comunicato, “A luglio l’indice di fiducia delle imprese diminuisce riportandosi sul livello dello scorso maggio. Il peggioramento è determinato dall’evoluzione negativa della fiducia nella manifattura e nei servizi di mercato. Anche l’indice di fiducia dei consumatori evidenzia una dinamica negativa, raggiungendo un minimo da maggio 2020. Si segnala un diffuso peggioramento di tutte le variabili che entrano nel calcolo dell’indice ad eccezione dei giudizi sull’opportunità di acquistare beni durevoli nella fase attuale”.

Tutte le componenti sono in calo

L’aspetto più preoccupante è che tutte le componenti dell’indice di fiducia dei consumatori sono in calo. In particolare, il clima economico e quello futuro registrano le diminuzioni più marcate scendendo, rispettivamente, da 93,9 a 84,9 e da 98,8 a 92,9; il clima personale e quello corrente flettono in misura più contenuta passando, il primo da 99,8 a 98,1 e il secondo da 97,9 a 96,1.

Anche le imprese sono negative

Non migliora per quanto riguarda le imprese: per queste, la fiducia è in peggioramento nella manifattura (l’indice scende da 109,5 a 106,7) e nei servizi di mercato (da 109,0 a 104,1) mentre migliora nelle costruzioni ( l’indice sale da 159,7 a 164,4) e nel commercio al dettaglio (da 107,2 a 108,1). Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nella manifattura peggiorano le attese sul livello della produzione e, in misura più marcata, i giudizi sugli ordini; le scorte sono giudicate in diminuzione rispetto al mese scorso. Nel comparto delle costruzioni migliorano sia i giudizi sugli ordini sia, soprattutto, le attese sull’occupazione presso l’impresa. Con riferimento ai servizi di mercato, tutte le variabili che compongono l’indicatore si deteriorano rispetto allo scorso mese. Pessimiste anche le valutazioni sul commercio al dettaglio: la dinamica negativa dei giudizi sulle vendite si associa ad un marcato aumento delle aspettative sulle vendite future e ad un incremento delle scorte di magazzino.

Welfare familiare: il 60% delle famiglie preferisce l’assistenza in casa

A quanto emerge dal report Le famiglie, il lavoro domestico, i caregiver, le Rsa, elaborato nell’ambito del progetto Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia, realizzato dal Censis per Assindatcolf (Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico), alle Rsa (Residenza sanitaria assistenziale) le famiglie preferiscono le badanti. Per l’assistenza a un familiare anziano o non autosufficiente, il 58,5% delle famiglie italiane non esita a scartare il ricorso a una Rsa, preferendo l’assunzione di una badante. Solo il 41,5% prende in considerazione la scelta di una Rsa: di queste, il 21,3% si rivolgerebbe a una struttura convenzionata, il 14,2% privata, e il 6,0% pubblica. Secondo il report le donne mostrano l’orientamento più marcato a evitare una Rsa (60,1% vs 56,1% uomini), ma anche gli stessi anziani sono scettici. Lo è il 50,8% di chi ha un’età inferiore ai 55 anni, il 52,9% di chi ha un’età compresa tra 55-64 anni e il 69,5% degli over 64.

I dubbi sulle Rsa

Da report si ricava la rappresentazione di un sistema di welfare ancora zoppicante, al quale non corrisponde un’iniziativa riformatrice tempestiva. Il disegno di legge ‘Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare’, datato agosto 2019, è infatti ancora fermo in Senato. La distanza dal modello organizzativo delle Rsa, per come si configura oggi, è spiegata soprattutto dai dubbi relativi alla qualità delle relazioni che si potrebbero mantenere all’interno delle strutture di assistenza. Chi esclude il ricorso a una Rsa è consapevole delle difficoltà a riproporre, all’esterno della propria casa, le attenzioni rivolte alla persona anziana o non autosufficiente (59,0%).

…e le motivazioni della scelta

C’è inoltre la convinzione che il distacco dalla propria abitazione produrrebbe effetti negativi sul familiare da assistere (20,9%). Al contrario, la scelta di una Rsa è invece motivata dalla professionalità del personale impiegato nelle strutture di assistenza (63,3%).  Minore rilevanza assumono altri aspetti, come l’importo della retta da pagare, che rimanda a una valutazione della sostenibilità della spesa (9,1%), e la vicinanza della struttura (9,0%), che garantirebbe la possibilità di visitare più frequentemente il familiare affidato alla Rsa.  Qualità dell’ambiente e dotazione di strumenti che garantiscano un certo grado di autonomia agli assistiti raccolgono complessivamente circa il 15% delle indicazioni.

Sostenere i caregiver familiari

Il 53,4% delle famiglie considera prioritario alleviare la fatica che grava sui caregiver attraverso l’intervento di personale esterno. Tra le soluzioni da adottare a favore dei caregiver viene indicato il riconoscimento di forme di reddito che possano almeno in parte ricompensare il ruolo sostitutivo svolto a causa della mancanza di strumenti di welfare adeguati per l’assistenza di persone anziane o non autosufficienti (25,5%). A seguire, si auspica la possibilità per il caregiver di lavorare da casa (9,0%), mentre per il 6,7% servirebbero l’assicurazione contro gli infortuni domestici e la possibilità di poter accedere a una pensione sulla base di contributi figurativi. Per il 5,4%, poi, sarebbero utili percorsi formativi per qualificare l’assistenza offerta al familiare.

Truffe: nel 2021 oltre 3 miliardi di euro persi dagli italiani

Negli ultimi 12 mesi 8,3 milioni di italiani hanno subito una truffa nell’ambito delle principali voci di spesa familiare. È un dato emerso dall’indagine realizzata per Facile.it dagli istituti mUp Research e Norstat: il 7,1% degli intervistati ha dichiarato infatti di aver subito una truffa legata alle utenze di luce e gas, il 6,5% nell’ambito delle carte elettroniche e il 5,2% nella telefonia mobile. L’assicurazione auto/moto, da alcuni ritenuta una delle aree più a rischio, in realtà è tra quelle dove in percentuale gli italiani sono caduti in trappola con meno frequenza (1,4%). A seguito delle truffe gli italiani hanno perso complessivamente oltre 3 miliardi di euro, e in media il valore economico è di 365 euro. Un danno più elevato tra i prestiti personali (1.490 euro), meno per truffe ai conti correnti (279 euro) ed RC auto/moto (268 euro).

La nuova frontiera passa dai social network

Quanto agli strumenti attraverso cui vengono portate a termine le frodi, nel 45% dei casi le truffe sono passate attraverso un’email, nel 26% tramite sms (31% nel caso dei conti correnti) e nel 21,5% da siti web fasulli (29% per le carte elettroniche). Ogni settore però ha le sue specificità. Quando si parla di frodi nell’ambito delle utenze luce e gas, ad esempio, tra i canali più usati dai malfattori ci sono i finti call center (44%) e le visite porta a porta (31,3%). La nuova frontiera delle truffe passa anche dai social network, particolarmente usati nell’ambito dei prestiti personali (15,9%), e dalle app di messaggistica istantanea, attraverso cui sono è stato truffato circa il 9% degli intervistati.

Più di 4 su 10 non denunciano

Purtroppo, il 41,5% di chi cade in trappola non denuncia la frode. Il dato arriva addirittura al 55,1% nella telefonia mobile e al 54,5% nei prestiti personali. Tra i 3,4 milioni che non hanno denunciato la truffa subita, il 33% non lo ha fatto perché il danno economico era basso, mentre il 27% perché certo che non avrebbe recuperato quanto perso. Per circa 800.000 individui, invece, vi è una ragione di natura psicologica. Il 15,1% si sentiva ingenuo per esserci cascato, mentre il 9% ha dichiarato di non aver denunciato la frode perché non voleva che i familiari/conoscenti lo sapessero. La scelta di non denunciare risulta ancora meno comprensibile se si considera che il 4% dei truffati, a seguito della frode subita, si è addirittura trovato nel mezzo di problemi di natura legale.

L’identikit dei truffati

Vittime predilette dei truffatori sono soprattutto gli uomini (22,5% rispetto al 15,7% del campione femminile), e a dispetto di quanto si possa pensare, coloro con un titolo di studio universitario (23,3% rispetto al 17% rilevato tra i non laureati).
“Non è strano che le vittime di tali reati siano spesso persone con un titolo di studio elevato – commenta Cast Gianluca Castelnuovo, ordinario di psicologia clinica alla Cattolica di Milano e all’IRCCS Istituto Auxologico Italiano -. Quando entrano in gioco le emozioni siamo più vulnerabili e rischiamo di sopravvalutare la nostra capacità di cogliere i segnali di truffa, ben camuffati dagli specialisti mal intenzionati”.
Dal punto di vista anagrafico, invece, a cadere in trappola sono più spesso i giovani nella fascia di età 18-24 anni (31,6% vs 15% 65-74enni) mentre, a livello territoriale, i residenti nel Nord Italia (Nord Est 22,3% – Nord Ovest 21%).

Italiani e spesa, come è cambiato il rapporto

In un contesto economico e internazionale in rapido mutamento e per certi versi destabilizzante, qual è il rapporto fra gli italiani e la spesa? Coe scelgono e sulla base di quali leve? A queste questioni prova a rispondere il Nuovo Codice Consumi di GS1 Italy, presentato durante l’evento “La spesa e gli italiani: scenari e impatti sul sistema Paese”: la ricerca fondativa realizzata da Ipsos e McKinsey Company con l’obiettivo di comprendere a fondo i comportamenti d’acquisto degli italiani del 2022 e di immaginare quelli del 2030, delineando scenari strategici futuri per istituzioni e filiere del largo consumo.

Nuovo Codice Consumi: un approccio innovativo 

Partendo dai più accreditati studi di mercato e integrandoli con interviste a key opinion leader del settore, il Nuovo Codice Consumi identifica le sei tematiche chiave nel rapporto degli italiani con la spesa e i consumi: emozionalità di prodotti e marchi, innovazione dell’esperienza di consumo, omnicanalità ed esperienza d’acquisto, cura per l’ambiente e la persona, territorialità, convenienza e parsimonia. Le metodologie utilizzate hanno permesso di tracciare una nuova mappa dell’Italia, che integra due visioni complementari: ‘Italia delle persone, composta da nove “comunità di sentire”, trasversali per età e collocazione geografica. Si tratta di community aperte e dinamiche, in cui gli individui entrano grazie a pulsioni, affinità, attitudini e passioni comuni, da cui altrettanto velocemente escono e in cui coesistono atteggiamenti e tensioni apparentemente in conflitto.
‘Italia dei territori, con una nuova ripartizione, in cui i quattro territori sono stati identificati in virtù della composizione del tessuto sociale e produttivo che li caratterizza (grandi città, aree a prevalenza agricola, aree a prevalenza industriale e aree a prevalenza turistica) e che può essere utilizzata per analizzare i fenomeni locali, studiare il territorio e programmare attività specifiche per ogni area.

Gli scenari futuri 

Il Nuovo Codice Consumi ha sviluppato scenari differenti per valutare le possibili direttrici di evoluzione al 2030, in una ottica di medio-lungo termine. I quattro scenari identificati si differenziano per il numero e la rilevanza dell’impatto di alcuni fattori, che potranno andare a modificare la popolosità delle community. Per riuscire a distinguersi in questa nuova arena competitiva, i principali attori del settore dovrebbero quindi attivarsi lungo alcune direttrici chiave, ponendo in essere iniziative che rendano possibile formulare proposte di valore più articolate e focalizzate al soddisfacimento di bisogni mutevoli e sempre più specifici. Per questo, il Nuovo Codice Consumi ha voluto delineare le strategie da adottare per rispondere alle nuove sfide del mercato: instaurare una nuova era di collaborazione per trarre beneficio dalla minore fedeltà dei consumatori e dalla variabilità delle community e dei territori; caratterizzare i propri prodotti in modo selettivo affinché conquistino selezionate community con attitudini e desideri specifici; adottare un approccio multicanale che consenta di offrire servizi di pre e post vendita sempre più personalizzati e integrati; essere “agili” per adattarsi alla mutevolezza e alla transitorietà dei tratti distintivi dei consumatori evidenziate sia nel breve che nel lungo periodo.

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