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Il rapporto degli italiani con la spesa

Pandemia, guerra Russia-Ucraina, aumento dei prezzi e inflazione incidono fortemente sul modo di agire. Siamo di fronte a una realtà frammentata in cui i consumatori sono sempre più mutevoli e multidimensionali. Una situazione descritta dal Nuovo Codice Consumi di GS1 Italy, la ricerca realizzata da Ipsos e McKinsey per comprendere i comportamenti d’acquisto degli italiani del 2022, e immaginare quelli del 2030. Il Nuovo Codice Consumi identifica sei tematiche chiave nel rapporto degli italiani con spesa e consumi: emozionalità di prodotti e marchi, innovazione dell’esperienza di consumo, omnicanalità ed esperienza d’acquisto, cura per l’ambiente e la persona, territorialità, convenienza e parsimonia.

Una nuova mappa dell’Italia che integra due visioni complementari

Il Nuovo Codice Consumi delinea una nuova mappa dell’Italia che integra due visioni complementari, l’Italia delle persone e l’Italia dei territori. La prima è composta da nove ‘comunità di sentire’, trasversali per età e collocazione geografica. Si tratta di community aperte e dinamiche in cui gli individui entrano grazie a pulsioni, affinità, attitudini e passioni comuni, ma in cui coesistono atteggiamenti e tensioni apparentemente in conflitto. La seconda, l’Italia dei territori, ha una nuova ripartizione, in cui i quattro territori sono identificati in virtù della composizione del tessuto sociale e produttivo che li caratterizza, come grandi città, aree a prevalenza agricola, industriale e turistica.

Una società frammentata e consumatori mutevoli

Emerge anche una nuova concezione della territorialità, quella di una società frammentata, con pulsioni contrastanti tra una costante ricerca delle origini e un desiderio imitativo e innovativo.
Al posto degli ‘italiani’, intesi come gruppo unitario e omogeneo, la ricerca mette in luce la presenza di community a geometria variabile, e in movimento perpetuo, che si formano sull’onda di un sentire comune, ma senza omogeneità implicite.
Le motivazioni di acquisto sono la nuova espressione della territorialità. Gli stessi prodotti sono acquistati in funzione di driver specifici per territorio, e che offrono una chiave di lettura in grado di rivoluzionare i meccanismi dell’offerta.

L’Italia del 2030 e le implicazioni per gli stakeholder

Il Nuovo Codice Consumi delinea le strategie da adottare per rispondere alle nuove sfide del mercato da qui al 2030. La prima è instaurare una nuova era di collaborazione per trarre beneficio dalla minore fedeltà dei consumatori e dalla variabilità delle community e dei territori. La seconda è caratterizzare i propri prodotti in modo selettivo, affinché conquistino selezionate community con attitudini e desideri specifici. La terza è adottare un approccio multicanale che consenta di offrire servizi di pre e post vendita sempre più personalizzati e integrati. E l’ultima richiede di essere ‘agili’, per adattarsi a mutevolezza e transitorietà dei tratti distintivi dei consumatori nel breve e nel lungo periodo.

Lavoro: la partecipazione alle scelte aziendali fa stare meglio i dipendenti

“Partecipare attivamente alla vita aziendale – afferma Leonardo Becchetti, co-fondatore NeXt Economia – genera un clima di benessere maggiore nel luogo lavoro: riconoscersi come parte di qualcosa più ampio, crea un effetto positivo che ricade anche sulle performance economiche dell’azienda e sullo sviluppo della comunità locale”. Secondo l’indagine realizzata da NeXt Economia e Corriere della Sera Buona Notizie in collaborazione con Fim-Cisl, le prime 22 aziende che hanno utilizzato lo strumento BESt Work Life, elaborato da NeXt Economia, il livello medio di partecipazione è risultato pari a 1,68 punti su 5, e il livello di benessere di lavoratori e lavoratrici pari a 3,78 punti.

BESt Work Life: l’indagine sul livello del Benessere Equo e Sostenibile

Il sistema del BESt Work Life è l’indagine sul clima organizzativo delle singole aziende collegato con il framework di riferimento nazionale del BES (Benessere Equo e Sostenibile) dell’Istat. La sua applicazione permette di fotografare la situazione in azienda inserendo i dati raccolti da lavoratori e lavoratrici all’interno dei 12 domini BES, e incrociandoli con le aree di benessere organizzativo.
Questo permette di pianificare azioni per miglioramento delle condizioni di lavoro delle persone e di riflesso anche le performance economiche e finanziarie dell’azienda.

Retribuzione e cultura ancora insufficienti

Dall’indagine emerge che i domini del BES dei lavoratori e delle lavoratrici con i punteggi più alti sono Sicurezza (4,51/5), Relazioni sociali (4,02/5) e Ambiente (4,01/5), evidenziando come in questi anni l’impegno delle aziende si sia consolidato non solo sui temi della sicurezza e dell’ambiente, ma anche sull’importanza di valorizzare le relazioni tra le persone.
I punteggi più bassi, dove i lavoratori e le lavoratrici si sentono meno soddisfatti, sono Benessere economico (2,87/5), Ricerca, innovazione e creatività (2,93/5), Paesaggio e patrimonio culturale (3,14/5). Oltre alla retribuzione, percepita come non sufficientemente adeguata, sono gli aspetti culturali e creativi che ancora latitano all’interno delle imprese italiane.

L’ importanza di valorizzare capacità e competenze dei singoli

Gli ambiti in cui la partecipazione di lavoratori e lavoratrici in azienda è maggiore, riferisce Adnkronos, sono Organizzazione del lavoro (2,16/5), Pianificazione dell’area di appartenenza (1,95/5), Tutela della salute, sicurezza ed ergonomia (1,90/5) e Sostenibilità ambientale (1,87/5), evidenziando quanto sia importante riconoscere e valorizzare le capacità e le competenze dei singoli nel loro ambito di lavoro.Le voci che invece presentano i valori peggiori sono Azionariato dei lavoratori (1,06/5), Investimento (1,38/5) e Andamento economico-finanziario e documenti di bilancio (1,42/5), che rimangono argomenti affrontati da nuclei ristretti di dipendenti e collaboratori.

Boom di dimissioni, ma un milione di contratti in più 

I numeri del mercato del lavoro in Italia vanno letti con attenzione per superare l’apparente contraddizione di due trend opposti, ma che invece sono complementari. Nel suo rapporto dell’Osservatorio sul precariato l’Inps evidenzia infatti un boom di dimissioni, ma anche un milione di contratti in più. Analizzando le cessazioni dei contratti a tempo indeterminato nel primo semestre dell’anno, con riferimento alla causa di cessazione, il primo fattore da considerare è l’effetto dell’uscita dalla pandemia. Nel primo semestre 2022 i flussi nel mercato del lavoro, tra assunzioni, trasformazioni, e cessazioni, hanno completato la ripresa dei livelli pre-pandemici, compromessi nel biennio 2020-2021 dalle chiusure e restrizioni dovute all’emergenza sanitaria. E segnalano incrementi rispetto al 2018-2019, sia nel numero di assunzioni e trasformazioni, sia in quello delle cessazioni.

Contratti: nel primo semestre 2022 saldo positivo di oltre 946mila

Nei primi sei mesi dell’anno, i datori di lavoro privati hanno effettuato 4.269.179 assunzioni e 3.322.373 cessazioni di contratto di lavoro, per un saldo positivo che supera i 946 mila contratti. Sempre nel primo semestre 2022, le dimissioni invece registrano un consistente incremento (+22% e +28% rispetto ai corrispondenti periodi 2021 e 2019). Il livello raggiunto di oltre 600.000 dimissioni sottende il completo recupero delle dimissioni mancate nel 2020, quando tutto il mercato del lavoro era stato investito dalla riduzione della mobilità, connessa alle conseguenze dell’emergenza sanitaria.

Aumentano i licenziamenti

Se si considerano anche le interruzioni volontarie dei rapporti di lavoro a termine, riferisce Adnkronos, le dimissioni diventano un milione, per un aumento del 31,73% rispetto allo stesso periodo del 2021.  I licenziamenti di natura economica e disciplinari registrano poi un forte aumento rispetto al primo semestre 2021 (rispettivamente +121% e +36%). Tuttavia il dato va messo in relazione alle deroghe normative varate con i decreti anti-Covid nel 2021. Per contestualizzare questa dinamica, occorre ricordare che fino al 30 giugno 2021 (per gran parte dell’industria) o fino al 31 ottobre 2021 (per il terziario e il resto dell’industria) i licenziamenti economici erano bloccati dalle normative specifiche introdotte nel 2020.

I licenziamenti economici diminuiscono rispetto al 2019 

Per i licenziamenti economici, chiarisce l’Inps, il più pertinente confronto con il 2019 rileva però una contrazione, con circa 50.000 licenziamenti in meno sia rispetto al 2018 sia al 2019 (-21%). In continua crescita, invece, dopo la modesta flessione del 2020, risultano i licenziamenti disciplinari: nel primo semestre 2022 sono poco più di 60.000, circa un terzo in più rispetto al corrispondente semestre del 2019.

Istat e il clima di fiducia di imprese e consumatori: basso come nel 2020

Si torna indietro, per la precisione a maggio 2020: parliamo del clima di fiducia espresso da consumatori e aziende, in base alle rilevazione dell’Istat. A luglio, infatti, l’Istituto di Statistica stima una diminuzione sia dell’indice del clima di fiducia dei consumatori (da 98,3 a 94,8) ai minimi da maggio 2020, sia dell’indice composito del clima di fiducia delle imprese (da 113,4 a 110,8). Per quest’ultime, riporta una nota dell’Istat a commento del comunicato, “A luglio l’indice di fiducia delle imprese diminuisce riportandosi sul livello dello scorso maggio. Il peggioramento è determinato dall’evoluzione negativa della fiducia nella manifattura e nei servizi di mercato. Anche l’indice di fiducia dei consumatori evidenzia una dinamica negativa, raggiungendo un minimo da maggio 2020. Si segnala un diffuso peggioramento di tutte le variabili che entrano nel calcolo dell’indice ad eccezione dei giudizi sull’opportunità di acquistare beni durevoli nella fase attuale”.

Tutte le componenti sono in calo

L’aspetto più preoccupante è che tutte le componenti dell’indice di fiducia dei consumatori sono in calo. In particolare, il clima economico e quello futuro registrano le diminuzioni più marcate scendendo, rispettivamente, da 93,9 a 84,9 e da 98,8 a 92,9; il clima personale e quello corrente flettono in misura più contenuta passando, il primo da 99,8 a 98,1 e il secondo da 97,9 a 96,1.

Anche le imprese sono negative

Non migliora per quanto riguarda le imprese: per queste, la fiducia è in peggioramento nella manifattura (l’indice scende da 109,5 a 106,7) e nei servizi di mercato (da 109,0 a 104,1) mentre migliora nelle costruzioni ( l’indice sale da 159,7 a 164,4) e nel commercio al dettaglio (da 107,2 a 108,1). Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nella manifattura peggiorano le attese sul livello della produzione e, in misura più marcata, i giudizi sugli ordini; le scorte sono giudicate in diminuzione rispetto al mese scorso. Nel comparto delle costruzioni migliorano sia i giudizi sugli ordini sia, soprattutto, le attese sull’occupazione presso l’impresa. Con riferimento ai servizi di mercato, tutte le variabili che compongono l’indicatore si deteriorano rispetto allo scorso mese. Pessimiste anche le valutazioni sul commercio al dettaglio: la dinamica negativa dei giudizi sulle vendite si associa ad un marcato aumento delle aspettative sulle vendite future e ad un incremento delle scorte di magazzino.

Acquisti online: nel 2022 spesa stimata a 46 miliardi

Nell’ultimo trimestre 2022 sono 33,3 milioni gli italiani che hanno acquistato online, +9,6 milioni rispetto al periodo pre-pandemia, con un trend che proietta per il 2022 una crescita del +14%, per un valore di 45,9 miliardi di euro. Con questi risultati la penetrazione dell’online sul totale acquisti Retail di prodotti e servizi nel corso dell’anno dovrebbe superare l’11%. Lo indica l’ultima indagine dell’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm – School of Management del Politecnico di Milano, che evidenzia come grazie ai segnali di ripresa già evidenziati lo scorso anno gli acquisti di prodotto hanno segnano un +10% rispetto al 2021, arrivando a 40 miliardi, mentre i servizi valgono 11,9 miliardi, +28% rispetto al 2021.

Il Food&Grocery si conferma il comparto più dinamico 

Fra i prodotti, i settori più maturi rallentano il proprio percorso di crescita, come l’Abbigliamento (+10% rispetto al 2021) e l’Informatica & Elettronica di consumo (+7%), mentre il Food&Grocery si conferma il comparto più dinamico anche nel 2022, con una crescita del +17% anno su anno. Quanto al mercato dei servizi, seppur ancora lontano dal valore 2019, cresce in seguito ai risultati incoraggianti del Turismo e trasporti (+33%) e degli Altri servizi (+35%), soprattutto grazie alle performance molto positive del Ticketing per eventi.

Lo smartphone è il device preferito per lo shopping online 

Secondo l’Osservatorio eCommerce B2C a prevalere sono gli acquisti con sistemi di pagamento digitale al momento dell’ordine, che rappresentano quasi il 90% del totale, mentre scende l’uso di contante o bonifico, sia online sia nei negozi fisici.
Lo smartphone si conferma come il device preferito per fare acquisti online: nel 2022 il 55% del valore e-commerce, un dato in linea con l’anno passato, passa attraverso questo canale.
“Siamo ormai andati ben oltre l’accezione dell’e-commerce inteso come ‘shopping online‘ – ha commentato Roberto Liscia, Presidente di Netcomm -. Stiamo vedendo come questo settore abbia un impatto decisivo, non tanto in termini di penetrazione sul totale retail, bensì in quanto volano indispensabile per lo sviluppo dell’economia italiana”.

Oggi l’e-commerce è un vero e proprio ecosistema

“Per questo l’e-commerce rappresenta oggi un vero e proprio ecosistema, e come tale va trattato e regolamentato, secondo un approccio che tenga conto sia del contesto globale nel quale le imprese italiane operano, sia delle peculiarità che caratterizzano lo scenario digitale globale – ha aggiunto Roberto Liscia -.
Siamo di fronte a un momento storico decisivo per la trasformazione dei modelli di business delle aziende, che devono rispondere con prontezza alle esigenze dei consumatori italiani, sempre più digitali, che non sono disposti a tornare indietro, ma che, anzi, chiedono un’esperienza di acquisto sempre più su misura”.

La crescita di un paese? Oggi si basa sull’accesso a Internet

Tre lavoratori italiani su quattro pensano che avere un accesso internet veloce e affidabile sia essenziale per la crescita economica futura e per fare sì che la popolazione sia ben informata e formata e il 40% della forza lavoro italiana fa affidamento sulla connessione internet domestica per lavorare da casa o gestire la propria attività. Sono solo due delle evidenze emerse dall’edizione 2022 del Broadband Index di Cisco, uno studio condotto ogni anno su quasi 60.000 lavoratori di trenta Paesi (fra cui l’Italia) chiamati a rispondere sulla qualità della banda larga domestica. In sintesi, secondo l’analisi la crescita sociale ed economica di un Paese è legata a doppio filo con un accesso universale, affidabile e veloce a internet.

Qualità e affidabilità 

Secondo l’indagine Cisco, il 71% dei lavoratori italiani (75% a livello globale) ritiene che i servizi in banda larga debbano essere migliorati per supportare un modello di lavoro ibrido di qualità, mentre il 73% pensa che sia importante la qualità e l’affidabilità della connessione internet. Per comprendere quanto una connessione ad alte prestazioni sia rilevante, basti pensare che il 79,5% del campione italiano ha dichiarato di fare un utilizzo casalingo di internet in banda larga per più di 4 ore al giorno, e il 49% addirittura per 7 ore o più. Percentuali che sono di poco inferiori a quelle registrate a livello globale, dove otto utenti su 10 (l’84%) usano la connessione in banda larga domestica per più di quattro ore, e il 54,6% per più di 7 ore. Il Broadband Index 2022 di Cisco ha fatto emergere anche altri elementi interessanti. Come ad esempio il fatto che nel 56% dei nuclei familiari di cui fanno parte gli interpellati, tre o più persone usano internet contemporaneamente (il 60% a livello globale). Per far fronte a queste necessità di connessione il 42% afferma di usare qualche tipo di tecnologia mobile, compreso l’uso dei propri smartphone come hub verso la rete 4G o 5G, mentre il 28% usa la banda larga su fibra ottica. Non solo: il 34% degli interpellati italiani (e il 43% a livello globale) prevede di fare nei prossimi 12 mesi un “upgrade” dei servizi internet di cui dispone, per poter così disporre di un livello di connessione più avanzato.

Connettività in sicurezza

La connettività è sempre più importante anche per quelle piccole realtà che non hanno a disposizione le stesse risorse delle grandi aziende, dato che secondo lo studio il 40% della forza lavoro italiana (e il 48% a livello globale) si affida alla connessione internet domestica quando deve lavorare da casa o per gestire la propria attività. Ed anche la sicurezza è vitale per il lavoro ibrido, dal momento che questo modello professionale richiede di accedere a applicazioni, servizi e dati da più luoghi e device, su reti pubbliche o private. Le persone ne sono consapevoli, al punto che oltre la metà a livello globale dichiara che sarebbe disposta a pagare di più per una connessione internet in banda larga “più sicura”.

Aeroporti italiani, persi 113 milioni di viaggiatori sul 2019

Il settore del traffico aereo, unitamente a quello del turismo, è stato uno dei comparti maggiormente colpiti dai due anni di pandemia. Non ci si può stupire, pertanto, che gli aeroporti italiani abbiano chiuso il 2021 con 80,7 milioni di passeggeri e una contrazione del 58,2% sul 2019, ultimo anno non interessato dalla pandemia, quando il numero dei viaggiatori ha superato quota 193 milioni. Un consuntivo in crescita del 52,4% sul 2020, ma pur sempre segnato da una profonda crisi con 113 milioni di passeggeri persi rispetto al 2019. I gravi effetti della crisi pandemica si sono manifestati almeno fino a maggio 2021. Nei primi 5 mesi dello scorso anno, il traffico negli scali nazionali ha segnato una contrazione dell’86% rispetto al 2019, attestandosi a valori prossimi a quelli osservati nella primavera 2020, durante i mesi di lockdown generalizzato.  I primi deboli segnali di ripresa si sono registrati solo a giugno 2021, -65% sui livelli pre-Covid, per poi rafforzarsi nella seconda metà dell’anno, con -38% rispetto al secondo semestre 2019.

Meglio il traffico nazionale di quello internazionale 

La nota diffusa da Assoaeroporti, che riunisce le società di gestione degli scali del nostro paese, evidenzia però un parziale recupero del segmento nazionale che nel 2021 mostra un -35,1% sui volumi pre-pandemia. Situazione più difficile invece per il traffico internazionale, che si attesta ad un -70,4%, evidenziando così una ripartenza del comparto a due velocità.

Come è cambiata la distribuzione del traffico

Il fenomeno descritto ha inoltre modificato la distribuzione del traffico negli aeroporti italiani, con gli scali delle Isole che, beneficiando del turismo nazionale, registrano segnali di ripresa maggiormente evidenti rispetto alla media di sistema. Recuperano infatti più velocemente, soprattutto nella seconda parte dell’anno, i livelli del 2019. Stentano invece a ripartire gli aeroporti a forte vocazione internazionale e intercontinentale, a causa del mantenimento delle restrizioni per i viaggi Extra UE. I movimenti aerei registrano una contrazione meno marcata rispetto al traffico passeggeri: nel 2021 sono stati circa 950 mila, con un calo del 42,4% sul 2019 (+34,7% sul 2020) a conferma dell’utilizzo da parte dei vettori aerei di aeromobili di minore capienza.

Incoraggianti i risultati per il traffico merci

C’è più ottimismo per quanto riguarda il traffico merci. I volumi movimentati per via aerea raggiungono i livelli del 2019, +0,2%, e l’intero segmento cargo, incluso l’avio camionato, che si attesta a 1 milione di tonnellate, pari al -1,9% rispetto ai livelli pre-Covid (+28,6% sul 2020), con quasi il 70% delle merci transitate per lo scalo di Malpensa.

Vendere casa nel 2021. I cambiamenti del mercato immobiliare italiano

La pandemia ha sicuramente introdotto o accelerato molti cambiamenti nelle scelte e nelle abitudini degli individui, e ha avuto, e sta tuttora avendo, effetti e conseguenze anche sul settore immobiliare.
Nell’ultimo anno sono molti gli italiani che hanno deciso di vendere la propria casa, in particolare nelle grandi città. Per comprendere i cambiamenti che hanno interessato il processo di vendita di una casa nel 2021, BVA Doxa ha condotto una ricerca per Casavo, la piattaforma che ha digitalizzato le fasi del processo di compravendita immobiliare. 

Le motivazioni che spingono alla vendita

Fra chi ha venduto una casa dopo la pandemia, la maggioranza l’ha fatto perché ha scelto di cambiare abitazione. Tra le motivazioni più frequenti, la scelta di spostarsi in un’abitazione più consona alle nuove esigenze emerse nel corso della pandemia è al primo posto, con il 36% delle risposte, seguita dalla ricerca di liquidità (29%), la messa in vendita delle case ereditate (24%), e dal desiderio di cambiare città o quartiere (21%). In generale, l’esigenza di cambiare la propria abitazione per rispondere alle nuove necessità è comunque la motivazione più diffusa, se si considera che il 62% di chi ha venduto una casa ne ha contestualmente acquistata un’altra. 

Tipologie di abitazione

Le tipologie di casa più vendute o messe in vendita sono il trilocale (37%) e il bilocale (30%), ma si registrano anche eccezioni, come a Torino, Bologna e Firenze, dove la vendita di bilocali rimane sotto la media (23%). La vendita riguarda per tre abitazioni su quattro appartamenti condominiali, seguiti da case indipendenti, monofamiliari o villette singole.    

I canali di vendita

La mediazione di un operatore immobiliare per la vendita della propria abitazione rimane la scelta preferita dalla maggioranza degli italiani. Chi vende casa sceglie l’operatore immobiliare soprattutto per la visibilità che può garantire nel processo di vendita (40%), per la professionalità (36%) e per le attività di assistenza e consulenza (33%). 
“L’esperienza vissuta negli ultimi 14 mesi ha modificato profondamente il modo in cui gli italiani vivono e percepiscono la casa, ed è infatti in forte crescita il numero di persone che vorrebbe cambiarla perché la considera non più adatta alle proprie necessità – afferma Andrea Tozzi, Senior Research Manager in BVA Doxa -. Non a caso, al primo posto fra le motivazioni di vendita abbiamo il desiderio di vivere in una casa maggiormente in linea con le proprie nuove esigenze abitative”.

Il Video Entertainment decolla e supera 1,3 miliardi

Il mercato italiano del Video Entertainment negli ultimi 12 mesi ha oltrepassato quota 1,3 miliardi di euro, e la sua componente principale è rappresentata dalla spesa dei consumatori (61%). A differenza di qualche anno fa, in cui la raccolta pubblicitaria era la prima fonte di remunerazione, la fruizione di contenuti in abbonamento o in acquisto singolo sfiora i 3 miliardi di euro, +21% sul 2020.  A fruire digitalmente di contenuti video sono 4 internet user italiani su 5 (+7%) e 1 su 2 dichiara di farlo anche a pagamento. E’ questo uno sviluppo che ha mutato profondamente la filiera produttiva e distributiva, aprendo a nuovi scenari competitivi. Si tratta di alcune evidenze emerse dall’Osservatorio Digital Content della School of Management del Politecnico di Milano.

Più di 800 milioni di euro spesi per fruire di contenuti premium

Nel 2021 gli italiani hanno speso poco più di 800 milioni di euro per fruire di contenuti premium, +39% rispetto al 2020, quando il tasso di crescita era stato addirittura del +62%. La quasi totalità della spesa del consumatore italiano proviene dalla sottoscrizione di abbonamenti a piattaforme distributive (SVOD), mentre il modello TVOD, basato su acquisto o noleggio di singoli contenuti, seppur in crescita, genera una piccola percentuale della spesa complessiva.
Torna poi a crescere anche la raccolta pubblicitaria (ADV) associata alla distribuzione dei video d’intrattenimento. Dopo un 2020 di sostanziale stasi nel 2021 si registra infatti un incremento del +11% dell’advertising, per un valore complessivo di circa 510 milioni di euro. 

Le sfide per i player del settore

Si tratta di un mercato ancora in forte espansione che non ha terminato il suo percorso evolutivo, e lo scenario continuerà a mutare in virtù delle sfide che i player dovranno affrontare nel prossimo futuro. Alcune sono di carattere endogeno, legate all’evoluzione dell’offerta, dei modelli di business, e allo sviluppo tecnologico. Un esempio, è il continuo ingresso sul mercato di nuovi player OTT generalisti, con un’offerta verticalizzata, o l’ampliamento dell’offerta di player esistenti su determinati contenuti. Inoltre, si assiste a un rafforzamento nel paniere di consumo dei video d’intrattenimento condivisi sui social, in particolare dei contenuti User Generated Content (UGC).

Un mercato in mutamento

Nascono poi nuovi modelli di business volti a riproporre la logica di programmazione lineare applicata alla distribuzione in streaming, e cresce l’attenzione alla User Experience (UX), con investimenti in contenuti interattivi, esperienze personalizzate e funzionalità di visualizzazione sociale e condivisa (co-viewing o social-viewing). Tra le variabili esogene, il passaggio al nuovo digitale terrestre per la trasmissione dei canali TV consentirà un cambiamento delle abitudini di consumo degli italiani verso un approccio di fruizione on-demand sulle piattaforme OTT. Inoltre, il lancio del 5G, migliorando le performance di rete, contribuirà sia a rafforzare la fruizione digitale di contenuti video su dispositivi mobili sia a rafforzare le potenzialità e la diffusione del live streaming.

Arriva la certificazione della parità di genere

I dati statistici in Italia mostrano un tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro inferiore rispetto alla media europea, in cui persiste e si amplifica ulteriormente la ‘child penalty’. Inoltre, da quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Osservatorio mercato del lavoro e competenze manageriali di 4.Manager, a oggi le posizioni manageriali femminili sono solo il 28% del totale. Uno scenario aggravato dalla pandemia, che ha avuto l’effetto di rallentare il processo di superamento del gender gap nel mercato del lavoro. Dal 1° gennaio 2022 però entra in vigore la nuova legge sulla parità retributiva, che istituisce per le aziende la ‘certificazione della parità di genere’ e lo sgravio contributivo per chi ne è in possesso.

I numeri delle posizioni manageriali femminili

Nel 2020, il tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro è stato del 53,1 %, con un divario di genere del 19%.  Nelle posizioni manageriali femminili i numeri mostrano uno scenario altrettanto difficile: su 605mila posizioni solo il 28% è affidato a figure femminili (fonte Inps), quota che si riduce al 18% per le posizioni regolate da un contratto da dirigente, ferme allo 0,3% da 10 anni. L’analisi condotta dall’Osservatorio su un campione di circa 17mila imprese indica che l’83,5% è a conduzione maschile, il 12,2% a conduzione femminile e il restante 4,3% a conduzione paritaria. Le imprese dove la conduzione femminile è più diffusa sono Pmi e microimprese, e si concentrano soprattutto al Sud e nelle Isole. Quanto ai settori, Manifatturiere (52,9%), Sanità e Assistenza Sociale (29,8%).

Contrastare la disparità significa soprattutto affrontare gli stereotipi di genere

Degli oltre 44mila consiglieri aziendali solo il 19% è donna, e la carica di Presidente e AD è affidata a una donna solo nel 12% dei casi. Per l’Amministratore unico, la percentuale femminile sale al 22,5% ed è legata a una più ridotta dimensione aziendale. Per gli intervistati contrastare la disparità di genere significa soprattutto affrontare ‘Gli stereotipi di genere’ (69,6%), ‘Il gap retributivo’ (58,9%) e ‘Il basso numero di donne nelle posizioni di potere’ (57,4%). Le leve aziendali da manovrare per mitigare il gap di genere sono lo stile di leadership, il modello organizzativo, il people management, il welfare aziendale.

Stanziati 10 milioni di euro per il Fondo impresa Donna

Il Pnrr però, riporta Adnkronos, favorirà l’ingresso al lavoro e percorsi di carriera delle donne finalizzati all’assunzione di ruoli di responsabilità. La valutazione di alcuni strumenti contenuti nel Piano ha restituito la seguente graduatoria: promozione e sostegno all’avvio di attività imprenditoriali femminili, sostegno alla realizzazione di progetti aziendali innovativi per le imprese a conduzione femminile o prevalente partecipazione femminile, creazione del Fondo impresa Donna, il sistema nazionale di certificazione della parità di genere, per il quale il Pnrr ha già stanziato 10 milioni di euro.

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