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Danni da maltempo: 5 milioni di italiani con casa danneggiata nel 2023

Nell’ultimo anno circa 5 milioni di italiani hanno subito danni alla propria abitazione causati da maltempo o calamità naturali. Di questi, solo 1 su 3 era in possesso di una polizza assicurativa a tutela dell’immobile.
Secondo l’indagine commissionata da Facile.it a mUp Research e Norstat, il fenomeno dannoso più comune è stata la grandine, indicata dal 49% degli intervistati, seguito dal vento, indicato dal 39,7% di chi ha subito danni diretti o indiretti.

Un altro elemento che ha creato gravi problemi è stata l’acqua. Il 23,3% ha dichiarato di aver subito danni a seguito di un’alluvione, mentre il 18,1% per via di un allagamento. Chiudono la graduatoria i danni da terremoto, indicati dall’8,6%, e quelli da gelo (2,6%).

Le assicurazioni casa

In Italia il 78% degli immobili è costruito in zone a rischio idrogeologico e l’aumento dei fenomeni atmosferici di forte intensità ha ampliato il numero di case potenzialmente esposte ai danni da maltempo. Nonostante questo, gli italiani si confermano un popolo che si assicura poco.

Al momento del sinistro poco più di 1 danneggiato su 3 era infatti in possesso di una copertura assicurativa sottoscritta per tutelarsi dagli eventi, mentre il 27% ha potuto godere unicamente della polizza condominiale.
Inoltre, quasi 4 danneggiati su 10, circa 1,8 milioni di italiani, non hanno potuto contare su alcuna copertura.

Quanto costano le polizze?

Unica nota positiva: 8 intervistati su 10, a seguito del danno, hanno deciso di assicurare la propria abitazione. Il 28% ha già sottoscritto una polizza, mentre il 53% è intenzionato a stipularla.
Per analizzare i costi delle polizze casa Facile.it ha preso in esame un appartamento da 100 metri quadri del valore di 200.000 euro, ubicato a Milano, Modena e Bari.

I prezzi per una polizza assicurativa a copertura dei danni al fabbricato causati da maltempo partono da 54 euro annui a Modena, per salire a 67 euro a Milano e 94 euro a Bari.
Se si vuole aggiungere anche la copertura dei danni al contenuto, si trovano polizze con prezzo di partenza pari a 94 euro su tutte e 3 le città.

I costi delle coperture aggiuntive

Aggiungendo la copertura per il terremoto si sale a 110 euro annui (Milano), 162 euro (Bari) e 214 euro (Modena). Attenzione però, perché la copertura terremoti copre i danni subiti dal fabbricato, non quelli al contenuto, ed esistono diversi livelli di copertura che offrono rimborsi più o meno alti in caso di evento sismico, e il prezzo varia notevolmente in base a questi parametri.

Aggiungendo anche la copertura dell’evento ‘alluvione’ il costo salirebbe a 312 euro annui a Milano, 624 euro a Bari, e 636 euro a Modena. Si tratta, nel caso della copertura dai danni di un’alluvione, di polizze non molto diffuse, e spesso ‘su misura’, pertanto il premio potrebbe variare sensibilmente a seconda della compagnia assicurativa.

Lavoro flessibile, cosa cambia nel 2024?

E’ stato ed è ancora uno dei “temi” più caldi degli ultimi anni. Stiamo parlando dello smart working che, ovviamente, ha necessità di avere norme e regole precise. Cosa accadrà quindi nel 2024?
Nel contesto dell’evoluzione del lavoro flessibile, nel prossimo futuro si prospettano cambiamenti significativi.
Questo in virtù di un emendamento approvato durante la conversione in legge del Decreto Anticipi in commissione Bilancio al Senato. Le principali novità riguardano i dipendenti del settore privato con figli minori e coloro definiti ‘fragili’ sul piano lavorativo. 

Il futuro smart dei lavoratori con figli under 14

Nel dettaglio, i genitori con figli fino ai 14 anni nel settore privato avranno il diritto di aderire allo smart working fino al 31 marzo 2024, a patto che la natura del loro lavoro lo permetta e non comporti un cambio di mansioni. Un requisito ulteriore è che entrambi i genitori siano occupati e non ricevano alcun tipo di sostegno al reddito. È importante sottolineare che l’entrata in vigore di questo emendamento è ancora in attesa di approvazione definitiva.

E per quelli fragili  

Per quanto riguarda i lavoratori considerati ‘fragili’, il diritto allo smart working è garantito solo fino al 31 dicembre 2023. Al momento, non sono state comunicate ulteriori proroghe, e per i cosiddetti ‘super fragili’, individuati dal decreto del Ministero della Salute del 4 febbraio 2022, è prevista la possibilità di cambiare mansioni nel caso in cui il loro ruolo non sia adatto al lavoro da remoto.

Accordi individuali per le aziende del privato

Attualmente, le normative in vigore stabiliscono che lo smart working non è obbligatorio per le aziende del settore privato. Nel caso in cui venga adottato, è necessario stipulare un accordo individuale con i dipendenti, trasmettere i dati al Ministero del Lavoro e rispettare le priorità legali.

Inoltre, per i dipendenti del settore privato con figli fino a 14 anni, è prevista la possibilità di lavorare in modalità agile fino al 31 marzo 2024, a condizione che la loro mansione lo consenta e che l’altro genitore sia occupato. Per i lavoratori fragili, lo smart working è permesso fino al 31 dicembre 2023, con la possibilità di cambio di mansioni per i super-fragili.

La legge di conversione del Decreto Anticipi è attualmente in discussione al Senato e dovrà essere approvata anche dalla Camera, con una scadenza fissata per il 18 dicembre. È da considerare che possano verificarsi ulteriori modifiche nella regolamentazione dello smart working.

Banche etiche più redditizie di quelle convenzionali

Grazie a un modello di business eticamente orientato la finanza etica si propone di influenzare positivamente il sistema finanziario mainstream globale, affrontando le trasformazioni necessarie per affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali.
Secondo uno studio condotto da Fondazione Finanza Etica, Fundación Finanzas Éticas e Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative (Febea), le banche etiche europee mostrano una redditività superiore rispetto alle banche convenzionali.

In un arco temporale di 10 anni, dal 2012 al 2021, la redditività del capitale proprio (ROE) delle banche etiche è stata in media del 5,23%, rispetto al 2,21% delle banche convenzionali. Anche la redditività degli attivi (ROA) è risultata più elevata, con una media dello 0,46% contro lo 0,25% delle banche convenzionali.

Un modello più efficace per affrontare le sfide contemporanee

Le banche etiche mantengono nel tempo una forte capitalizzazione nel tempo, con un rapporto tra patrimonio netto e passività totali che si attesta in media all’8,2%, e presentano differenze strutturali rispetto alle banche convenzionali, focalizzandosi maggiormente sulle attività bancarie tradizionali, soprattutto sul credito.

Inoltre, le banche etiche mostrano un impegno concreto nell’approccio ecologico e sociale, investendo in metriche avanzate per misurare le emissioni di gas serra e adottando politiche che escludono finanziamenti a filiere dannose per l’ambiente e il clima.
Il rapporto sembra quindi sottolineare il successo e l’efficacia del modello di finanza etica nell’affrontare le sfide contemporanee e propone una visione positiva sul suo impatto potenziale nel sistema finanziario globale.

Gestione della liquidità

Le differenze tra banche etiche e banche convenzionali non sono solo in termini di redditività, ma anche in relazione alla gestione della liquidità e alla solidità patrimoniale.
La prudenza nella gestione della liquidità sembra essere un elemento distintivo delle banche etiche rispetto alle loro controparti convenzionali.
Nei confronti delle banche etiche, la principale fonte di liquidità è rappresentata dai depositi dei clienti, contribuendo all’81,1% delle passività totali.

Al contrario, le banche convenzionali dipendono da diverse fonti di liquidità, il che si traduce in un rapporto depositi/patrimonio netto inferiore rispetto alle banche etiche.
Quanto al rapporto prestiti/depositi (LDR), nelle banche etiche si mantiene stabile e inferiore (tra 77%-81,5% vs 86%-102,5%), che riflette appunto una gestione più prudente della liquidità e una focalizzazione sull’erogazione di prestiti in modo sostenibile e responsabile.

Pratiche ambientali e sociali

Le banche convenzionali europee sembrano non aver intrapreso una vera transizione ecologica nel loro modello di business.

Sebbene offrano singoli prodotti ‘verdi’ sono accusate di rimanere orientate al massimo profitto. Si evidenzia che dal 2016 al 2022, queste banche hanno finanziato i combustibili fossili con oltre 5 miliardi di euro, mentre solo il 7% dei loro finanziamenti energetici è stato destinato alle energie rinnovabili.
Le banche etiche, al contrario, adottano un approccio olistico e integrato, e si distinguono per il loro impegno a non finanziare l’industria bellica.

Big Data: il mercato cresce del +18% e arriva a 2,85 miliardi

Secondo i risultati della ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano nel 2023 il mercato dei Big Data in Italia raggiunge il valore di 2,85 miliardi di euro.

La spesa delle aziende in infrastrutture, software e servizi per la gestione e l’analisi dei dati cresce del +18%, di cui l’83% è imputabile a grandi imprese, e il 17% a microimprese e Pmi.
La crescita del mercato è trainata dalla componente Cloud (27%), particolarmente marcata nel settore manifatturiero e nel comparto Telco e Media. Il manifatturiero registra inoltre la dinamica di crescita più elevata (+25%), mentre risultano in linea con la crescita del mercato GDO/Retail, PA e Sanità. Banche, Telco e Media i comparti che spendono di più in relazione al budget ICT.

Data Strategy Index e figure professionali più diffuse

Secondo il Data Strategy Index cresce la percentuale di grandi aziende italiane di livello avanzato (20% vs 15% nel 2022), ma un terzo (32%) è ancora immaturo o ai primi passi.
All’interno delle organizzazioni sono ormai diffuse figure professionali per la valorizzazione dei dati. Il 77% delle grandi aziende ha già un Data Analyst, il 49% un Data Scientist e il 59% un Data Engineer. Tuttavia, il 77% ha difficoltà a trovare le figure richieste.

Sul fronte delle Pmi, 4 su 10 non hanno alcuna figura dedicata, neanche parzialmente, all’analisi dei dati.
Il 57% si è dotata di un software di data Visualization & Reporting (+8% sul 2022), ma si tratta per lo più di un utilizzo sporadico, con investimenti molto contenuti. Il foglio elettronico rimane ancora estremamente diffuso.

L’interesse non corrisponde sempre a un cambio di rotta

“Nel 2023 cresce la spesa per gli Analytics, e il livello di maturità delle imprese italiane nella gestione dei dati – spiega Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’Osservatorio -. Tuttavia, il forte interesse non corrisponde sempre a un cambio di rotta decisivo: sono ancora una minoranza le organizzazioni con una Data Strategy di livello corporate. Serve un ulteriore salto per cogliere le opportunità offerte dalle nuove frontiere tecnologiche, tra tutte l’Intelligenza artificiale generativa. Le aziende più mature stanno già sperimentando nell’ambito gestione e analisi dei dati con la Generative AI, alla ricerca di nuove strade per estrarre insight di valore da dati non strutturati o migliorare il processo di gestione e analisi”.

Il ruolo decisivo della Generative AI

“Il grande interesse suscitato nel 2023 per la Generative AI ha contribuito ad accendere i riflettori sull’importanza di avere a disposizione dati di buona qualità, fondamenta per rendere affidabili, e dunque utilizzabili, i risultati degli algoritmi – aggiunge Carlo Vercellis, responsabile scientifico -. Mentre l’innovazione avanza, però, la situazione di incertezza economica e geopolitica rischia di far ritardare gli investimenti, non tecnologici, ma soprattutto organizzativi e culturali, per proseguire nel percorso di valorizzazione dei dati. L’obiettivo delle imprese deve essere quello di costruire una buona data experience, intesa come l’esperienza complessiva di un utente in ogni fase di relazione con i dati, capace di fare la differenza nell’impatto di soluzioni di Analytics”.

Mutui: rate ferme a +294 euro grazie allo stop ai rialzi della BCE 

I dati parlano chiaro: analizzando un mutuo medio variabile la rata mensile è passata da 456 euro di gennaio 2022 a 750 euro di oggi, per un aumento del 64%.
Sommando i rincari mensili, l’esborso aggiuntivo per i mutuatari è stato addirittura superiore ai 2.850 euro.
Ma con la decisione da parte della Bce di arrestare il rialzo ai tassi di interesse l’aumento sulle rate dei mutui variabili italiani dovrebbe fermarsi a +294 euro rispetto a gennaio 2022.
Con la fine degli aumenti i mutuatari potranno quindi tirare un parziale sospiro di sollievo, ma la pressione sulle famiglie resta elevata, e prima di vedere un calo bisognerà aspettare il 2024.
I dati arrivano dall’analisi di Facile.it e Mutui.it, realizzata sulla simulazione di un finanziamento a tasso variabile di 126.000 euro in 25 anni, LTV 70%, Tan iniziale 0,67% (Euribor3m+1,25%).

Primi segnali di calo attesi nel 2024

Guardando alle aspettative di mercato (Futures sugli Euribor a 3 mesi aggiornate al 23 ottobre 2023) bisognerà aspettare il 2024 per vedere i primi segnali di calo.
A ottobre l’indice Euribor a 3 mesi si è mosso intorno al 3,95%, e secondo le previsioni, a marzo 2024 dovrebbe scendere a 3,93%, per poi arrivare a 3,75% a giugno, e 3,35% a dicembre 2024.
Se ciò avvenisse, la rata del mutuo medio presa in esame a marzo 2024 resterebbe uguale a quella di oggi (750 euro), per poi scendere a 737 euro a giugno e a 708 euro a dicembre 2024.

Ma quale tasso conviene sottoscrivere?

Ma per chi è alle prese con l’acquisto della casa e alla ricerca di un mutuo, quale tasso conviene sottoscrivere?
Secondo le simulazioni di Facile.it, prendendo in considerazione il mutuo standard utilizzato nell’analisi, i migliori tassi fissi (TAN) disponibili oggi online partono dal 3,79%, corrispondenti a una rata di 651 euro, mentre per un mutuo variabile la migliore offerta parte da un TAN di 4,71%, con una rata di 709 euro.

“Si tratta di fare una piccola scommessa, ma bisogna avere le spalle larghe”

“Non esiste in assoluto una scelta migliore di un’altra riguardo alla tipologia di tasso e le variabili da tenere in considerazione sono molte e soggettive – spiegano gli esperti di Facile.it -. Per chi non vuole rischiare la soluzione più adatta è il tasso fisso, che a oggi non solo garantisce la stabilità della rata, ma risulta anche più conveniente rispetto alla cedola di partenza un mutuo variabile. Chi, invece, è più incline al rischio e dispone di una maggiore capacità reddituale potrebbe optare per un tasso variabile. Si tratta di fare una piccola scommessa, ovvero che a partire dal nuovo anno le rate comincino a frenare la loro ascesa e poi a inizino scendere. Sul lungo periodo, in effetti, i tassi variabili si sono dimostrati nella maggior parte dei casi più convenienti, ma bisogna avere le spalle larghe per i momenti di difficoltà dei mercati”.

L’innovazione tecnologica aiuta. Lo pensa l’88% degli italiani 

Sebbene permangono alcune perplessità relative all’utilizzo dei dati e al rischio di isolamento relazionale, gli italiani danno un giudizio sostanzialmente positivo sull’innovazione tecnologica.
Se per le imprese rappresenta un grande driver di trasformazione, secondo l’88% degli italiani l’innovazione tecnologica aiuta l’attività imprenditoriale e produttiva, agevolando la crescita non solo delle grandi realtà, ma anche delle piccole aziende (29%).

Emerge dalla ricerca globale realizzata da Ipsos per Maker Faire Rome – The European Edition, manifestazione promossa e organizzata dalla Camera di Commercio di Roma.
Secondo la ricerca, gli italiani poi sentono di possedere più competenze digitali di americani, francesi e tedeschi. Grazie alla tecnologia per loro l’esistenza quotidiana è diventata più facile e intensa. Ma anche più stressante e isolata.

Pochi dubbi: la vita quotidiana è stata migliorata dalla tecnologia

In generale l’innovazione tecnologica ha mutato radicalmente il modo di informarsi, viaggiare, fare la spesa, ma ha anche aumentato le differenze sociali tra Paesi ricchi e poveri, tra anziani e giovani, tra manager e lavoratori.

Le sensazioni suscitate dalla tecnologia in Italia sono contrastanti. Se dipendenza (39%) e fiducia (37%) vanno di pari passo, generalmente la tecnologia suscita sentimenti positivi, come serenità (29%), attesa (24%) e facilità (22%). 
Nel saldo tra gli aspetti della vita quotidiana che la tecnologia ha migliorato o peggiorato, per tutti i cittadini dei vari paesi il saldo è molto positivo riguardo l’informarsi, sapere e conoscenza, fare shopping e gestione dei trasporti e della mobilità.

Meno positivo il giudizio su effetti sociali e relazioni 

Più pernicioso il quadro degli effetti sociali dal punto di vista delle relazioni. Inoltre, in tutti i paesi i cittadini segnalano che le innovazioni tecnologiche hanno aumentato i tassi di esclusione sociale. 
Decisamente più positive le valutazioni sull’impatto che l’innovazione tecnologica ha avuto per le imprese. 

I settori che hanno saputo avvantaggiarsi maggiormente della trasformazione digitale sono le banche, e ovviamente, le società informatiche, seguite da Assicurazioni, imprese turistico e alberghiero, Grande distribuzione organizzata. Le innovazioni tecnologiche percepite come più costruttive sono IoT, robotica collaborativa, Big Data Analytics, manifattura additiva. In Italia in particolare, l’Intelligenza artificiale è vista come una tecnologia in grado di migliorare la vita quotidiana.

Cosa farà l’AI fra 10 anni?

La maggioranza dei cittadini ritiene che nei prossimi 10 anni, l’AI sarà un elemento fondamentale o comunque importante della vita quotidiana (84% in Italia) e migliorerà soprattutto le possibilità di informarsi, accrescere le conoscenze, la gestione dei trasporti e della salute, lo shopping e il fare impresa.

Peggiorerà, invece, le relazioni. E previsioni negative coinvolgono il tema del lavoro, con il timore di perdita di posti di lavoro, l’obsolescenza delle competenze e minori opportunità per i lavoratori a bassa digitalizzazione, la chiusura delle imprese tradizionali, e progressivo isolamento e alienazione.
Le nuove tecnologie avranno, tuttavia, un impatto positivo a livello ambientale, soprattutto sulle fonti rinnovabili, gli sprechi alimentari e la catena alimentare sostenibile.

Intelligenza artificiale: anche i cybercriminali la usano 

L’allarme arriva da Cisco Talos: l’Intelligenza artificiale non rappresenta soltanto una delle rivoluzioni tecnologiche più importanti dell’ultimo decennio, ma è anche terreno fertile su cui prolifera la criminalità informatica. I criminali informatici la utilizzano per migliorare e rendere sempre più efficienti gli attacchi.
D’altronde, aziende e forze dell’ordine utilizzano l’AI per sviluppare nuovi strumenti, tattiche e strategie per automatizzare l’analisi dei dati, effettuare la rilevazione predittiva delle attività illecite e porre rimedio in modo più efficace. 

E di fatto l’Intelligenza artificiale è già una realtà nella cybersecurity.
Sul lato utenti, molti hanno però avuto il primo contatto con tali tecnologie solo negli ultimi mesi, in particolare con l’AI generativa, per generare testi, codice e immagini.

Tanti vantaggi per il cybercrime

Tra i vantaggi principali dell’utilizzo dell’AI da parte dei criminali la minore necessità di coinvolgimento umano nello sviluppo di software, codice, estorsioni e truffe, e la possibilità di analizzare velocemente enormi quantità di informazioni, individuare vulnerabilità e obiettivi.
L’analisi dei big data richiede, invece, notevole potenza di calcolo, limitando la sua applicazione alle organizzazioni criminali più grandi o sponsorizzate da Paesi che possiedono un’infrastruttura capace di offrire tale potenza di calcolo.

L’AI permette inoltre di sviluppare attacchi phishing e social più sofisticati, come la creazione di deepfake incredibilmente realistici, siti web ingannevoli, campagne di disinformazione, profili fraudolenti sui social media e bot sempre più complessi.

Dai deepfake ai malware “auto-metamorfici”

Le organizzazioni criminali sponsorizzate dagli Stati utilizzano l’AI per propagare disinformazione e manipolare gli utenti. Queste tattiche implicano la creazione e la diffusione di contenuti ingannevoli, tra cui deepfake, clonazione vocale, articoli falsi e impiego di bot.
Ma l’AI consente anche la creazione di malware sofisticati, adattabili e difficilmente rilevabili, tramite l’utilizzo di meccanismi ‘auto-metamorfici’ che permettono di modificare la loro natura in base all’ambiente in cui operano.

I ricercatori hanno mostrato come l’AI possa essere utilizzata per effettuare attacchi mirati e intelligenti: il malware si attiva solo quando trova il target previsto ed è in grado di sfuggire alla rilevazione nascondendosi all’interno di applicazioni benigne.

La cybersecurity va al contrattacco con l’analisi predittiva

Ovviamente, anche i professionisti della cybersecurity e le forze dell’ordine possono sfruttarne le potenzialità per sviluppare strumenti, tattiche e strategie innovative nella loro lotta contro il cybercrime moderno.

L’AI permette infatti la rilevazione e la prevenzione delle minacce informatiche più precise ed efficaci. La risposta immediata agli incidenti informatici e l’analisi automatizzata di grandi quantità di dati per identificare le compromissioni sono tra i principali vantaggi dell’utilizzo dell’AI. Che, esaminando questi set di dati, può identificare modelli e tendenze che aiutano gli esperti a restringere l’origine di un attacco.
Ma l’AI consente di utilizzare anche un altro strumento prezioso, l’analisi predittiva, con cui le aziende possono anticipare potenziali minacce informatiche e vulnerabilità adottando un approccio proattivo alla sicurezza.

La sostenibilità passa anche per il packaging

La filiera agroalimentare non sfugge dallo scacchiere delle responsabilità della crisi climatica, tanto da essere considerata dagli italiani il quarto settore maggiormente responsabile del climate change, dietro a industria energetica, trasporto aereo e trasporto su gomma. In cima alle azioni di sostenibilità che le aziende agroalimentare possono intraprendere c’è la riduzione di materiali impiegati nel confezionamento del prodotto, o la sostituzione dei materiali plastici presenti negli imballaggi. Insomma, il packaging. Tra le aziende intervistate dalla quarta edizione dell’Osservatorio Packaging del Largo Consumo, realizzato da Nomisma, è stato rilevato un impegno proprio per il recupero e il riuso degli imballaggi, o il ricorso a materiali in grado di garantire un minor impatto ambientale.

Come valutare la sostenibilità della confezione?

Per ridurre i rifiuti generati dal packaging dei prodotti, e aumentare la quantità di confezionamento riciclato, le caratteristiche più ricercate dagli italiani sono assenza di overpackaging (58%), totale riciclabilità (56%), ridotte quantità di plastica (47%), basse emissioni di CO2 (46%) e utilizzo di materiale riciclato (45%). Per i manager coinvolti dalla ricerca, invece, le caratteristiche di sostenibilità del packaging devono essere oggettive e misurabili, adottate solo dopo studi e valutazioni scientifiche dell’effettivo impatto dell’imballaggio sull’ambiente. In particolare, i criteri principali in base ai quali l’impresa valuta la sostenibilità del packaging sono la riduzione delle emissioni di CO2, la riciclabilità dei materiali e l’impiego di materiali di riciclo.

Formare, informare e comunicare 

La valorizzazione delle azioni svolte dalle aziende in fatto di tutela dell’ambiente non riguarda solo il posizionamento del brand, ma anche l’informazione. In pratica, “trasmettere ai consumatori le conoscenze utili a valutare in che modo la scelta di acquisto di un prodotto in alternativa a un altro possa generare un diverso impatto sull’ambiente”, spiega Valentina Quaglietti, Head of Customer Observatories di Nomisma. Le informazioni circa lo smaltimento e il riciclo, la riduzione del materiale impiegato e la sostenibilità delle fonti energetiche e delle materie prime usate sono quindi i principali argomenti da comunicare al consumatore. Principalmente, tramite le etichette e i canali social dell’azienda.

Supportare il raggiungimento degli obiettivi ONU 2030

“Per le sue caratteristiche tecniche il packaging può rappresentare un valido supporto al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 – aggiunge Quaglietti -. D’altro canto gli obiettivi dell’Agenda 2030 rendono necessario un approccio sostenibile dei modelli di produzione, consumo e riciclo del packaging. Un orientamento allo sviluppo sostenibile economico, ambientale e sociale che coinvolge mondo produttivo, società civile, istituzioni nazionali e sovranazionali”.
In particolare, l’Osservatorio pone l’attenzione sugli obiettivi che interessano, in maniera diretta o indiretta, Sicurezza alimentare (Sustainable Development Goal 2), Modelli sostenibili di produzione e consumo (Goal 12), Preservare le risorse marine (Goal 14) e Contrasto alla desertificazione (Goal 15).

Violenza tra adolescenti: cosa ne pensano i giovani? 

Lo rivela l’indagine ‘I giovani e la violenza tra pari’, condotta da Ipsos per ActionAid con il supporto dell’IBISG, l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai: secondo i ragazzi e le ragazze adolescenti in Italia a commettere atti di violenza nel nostro Paese sono i ragazzi maschi, soprattutto se in gruppo, e gli uomini adulti che è possibile incrociare anche fuori da scuola. Quattro giovani italiani su cinque ritengono però che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole, ma uno su cinque crede che le ragazze possano contribuire a provocare la violenza sessuale se mostrano un abbigliamento o un comportamento eccessivamente provocante.

Sono le caratteristiche fisiche a scatenare la violenza

Tra i principali motivi per cui si diventa oggetto di violenza secondo gli adolescenti italiani al primo posto sono indicate le caratteristiche fisiche (50%), seguite dall’orientamento sessuale (40%) e dall’appartenenza di genere (36%). Il primo danno in seguito alla violenza subita, indicato dal 27% degli intervistati senza distinzione di genere è il malessere psicologico. Al secondo posto, isolamento e depressione (21%), e al terzo disagio e vergogna (18%).Ma non sempre i ragazzi e le ragazze che subiscono una qualche forma di violenza poi la denunciano. Il motivo principale è la vergogna nel raccontare quanto è accaduto al mondo adulto, seguito dalla paura a dirlo, la percezione dell’inutilità della denuncia, e il timore di ulteriori minacce da parte dell’aggressore.

Cosa è violenza?  

La maggioranza dei giovani (80%) considera violenza toccare le parti intime di qualcuno senza consenso, ma uno su cinque non riconosce questa violenza. A seguire, in particolar modo i giovani ragazzi, considerano violenza picchiare qualcuno, comportamento che registra il 79% delle risposte.
Al terzo posto, con il 78%, fare foto/video in situazioni intime e diffonderle ad altre persone, soprattutto per le ragazze, con l’84% delle citazioni.

Le ragazze sono più esposte anche alle molestie verbali

Sono le ragazze, più dei ragazzi, a vivere con maggior frequenza atti di violenza tra pari, in qualsiasi forma essa si manifesti.
Infatti, molto più spesso dei coetanei assistono a gossip, prese in giro, insulti, scherzi, esclusione di persone dai gruppi, situazioni in cui le parti intime di una persona vengono toccate senza consenso, diffusione non consensuale di foto e video di situazioni intime. Inoltre, le ragazze rischiano più spesso di ricevere molestie verbali mentre camminano per strada, essere toccate nelle parti intime, essere vittime di scherzi o commenti a sfondo sessuale e della diffusione di foto/video che le ritraggono in situazioni intime. I ragazzi, invece, rischiano principalmente di essere picchiati e le persone transgender/fluide/non binarie di venire insultate.

Riutilizzo dei materiali, Italia tra i più “bravi” in UE

L’Italia sta dimostrando un comportamento migliore rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea in termini di riutilizzo dei materiali e impronta materiale, due dei tre indicatori dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 12 (SDG 12) “Consumo e produzione responsabili”. Tuttavia, il paese si colloca al di sotto della media europea nell’indicatore che misura i rifiuti prodotti pro capite. Questi dati sono stati confermati da Eurostat, che ha pubblicato i risultati ottenuti dai vari paesi dell’UE in questi tre indicatori. Nel 2020, a livello comunitario, il consumo di materie prime è diminuito del 3% (13,7 tonnellate pro capite) rispetto al 2016 (14,0 tonnellate pro capite). Il “tasso di circolarità”, che rappresenta la quota di materie prime secondarie rispetto a tutte le materie prime utilizzate nell’economia, è aumentato al 11,7% nel 2021, con un incremento di 0,2 punti percentuali rispetto al 2017 (11,5%). Inoltre, nel 2020, la produzione di rifiuti è diminuita a 4,8 tonnellate pro capite, registrando un calo del 5% rispetto al 2016 (5,1 tonnellate pro capite).

L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 12

L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 12, noto come “Consumo e produzione responsabili”, richiede azioni da parte di imprese, politici e consumatori per promuovere modelli di consumo e produzione sostenibili. Questo obiettivo si basa su tre pilastri: utilizzo di tecnologie avanzate per la sostenibilità; efficienza nell’uso delle risorse per ridurre gli sprechi energetici; riduzione complessiva dei rifiuti.
A livello comunitario, il monitoraggio di questo parametro si concentra sui progressi compiuti nel separare gli impatti ambientali dalla crescita economica, promuovendo un’economia verde e gestendo in modo efficiente la produzione e la gestione dei rifiuti.

Gli indicatori dell’SDG 12

Gli indicatori dell’SDG 12 sono tre: tasso di circolarità, impronta materiale e generazione di rifiuti. L’Italia si posiziona al di sotto della media europea solo nell’indicatore relativo alla generazione di rifiuti. Nel 2018, i 27 Paesi membri hanno generato in media 1.820 chili di rifiuti pro capite, con l’Italia a 1.850 chili pro capite. Solo la Germania ha fatto peggio con 1.872 chili pro capite, mentre Francia (1.514 chili) e Spagna (1.540 chili) hanno ottenuto risultati migliori.
Per quanto riguarda il tasso di circolarità, l’Italia si posiziona molto bene, con il 20,6% delle materie prime utilizzate, quasi il doppio della media europea (11,7%). Anche la Francia ha ottenuto buoni risultati con il 19,2%.

Impronta materiale, l’Italia può fare meglio

Nell’indicatore dell’impronta materiale, l’Italia si colloca al di sotto della media europea, con 10 tonnellate e 228 quintali pro capite nel 2020, insieme alla Spagna. Entrambi i paesi sono al di sotto della media europea di 13 tonnellate e 654 quintali, ma sopra la Francia (12 tonnellate e 699 quintali) e la Germania (15 tonnellate e 69 quintali).
In sintesi, l’Italia deve fare ulteriori sforzi per ridurre la generazione di rifiuti pro capite, ma sta ottenendo buoni risultati rispetto ai suoi partner europei negli altri parametri stabiliti dall’SDG 12 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

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