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Rifiuti, quanto mi costate? Meno in Veneto, di più in Campania

Quella dei rifiuti è una tassa che ha sempre una maggiore incidenza sui budget familiari. Ma quanto ci costa veramente la gestione dei rifiuti, e quali sono le differenze a seconda delle varie aree geografiche d’Italia? Ecco tutte le risposte, che evidenziano come i veneti, ad esempio, siano più “fortunati” rispetto ai campani.

312 euro la cifra media

Per quanto riguarda il costo, la cifra media pagata da una famiglia italiana tipo per la tassa per i rifiuti è stata di 312 euro. Si tratta di un onere aumentato dell’1,5% rispetto all’anno precedente. La regione con la spesa media più bassa è il Veneto (232 euro), dove si registra anche una diminuzione del 4% circa rispetto all’anno precedente. Al contrario, la regione con la spesa più elevata resta la Campania (416 euro, -0,6% rispetto al 2020). È questo il quadro che emerge dalla annuale rilevazione dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, ripreso da AdnKronos. L’indagine sui costi sostenuti dai cittadini per lo smaltimento dei rifiuti in tutti i capoluoghi di provincia prende come riferimento nel 2021 una famiglia tipo composta da 3 persone ed una casa di proprietà di 100 metri quadri. L’indagine è realizzata nell’ambito delle ‘Iniziative a vantaggio dei consumatori’, finanziate dal ministero dello sviluppo economico.

Catania è la città più cara

Con 504 euro, una cifra stabile rispetto al  2020), Catania si conferma il capoluogo di provincia più caro d’Italia in termini di tassa dei rifiuti. Dall’altra parte della classifica c’è Potenza , che con i suoi 131 euro è il più economico. Rispetto ai 112 capoluoghi di provincia esaminati, sono state riscontrate variazioni in aumento (rispetto al 2020) in ben 53 capoluoghi, situazioni di stabilità in 37 e variazioni in diminuzione in 22. A Vibo Valentia l’incremento più elevato (+44,9%), a Rovigo la diminuzione più consistente (-23%). A livello di aree geografiche, i rifiuti costano meno al Nord (in media 270 euro, +1,6% rispetto al 2020), segue il Centro (313 euro, +2,4%), infine il Sud, più costoso (353 euro, +1,3%). A livello territoriale si registrano aumenti in dodici regioni: incremento a due cifre in Liguria (+10,3%), segue la Basilicata con +8,1%, il Molise con +6,1% e la Calabria con +5,9%; tariffe in diminuzione in sei: in Sardegna si registra un -5% e in Veneto un -3,8%.
“A fronte di una spesa media a famiglia che continua a salire e di una eccessiva sperequazione della tariffa fra le regioni e le singole città” dice Tiziana Toto, responsabile politiche dei consumatori di Cittadinanzattiva, “ci spiace constatare che soltanto il 10% dei capoluoghi di provincia applica la tariffa puntuale che incentiverebbe le famiglie a produrre meno rifiuti. Allo stesso modo ancora scarseggiano le iniziative per favorire il riuso e per ridurre i rifiuti, sebbene finalmente tutte le regioni registrino un aumento nei livelli di raccolta differenziata”.

Il 28% dei dipendenti ‘si sente’ più connesso lavorando da remoto

La situazione epidemiologica e le conseguenti restrizioni hanno influenzato la comunicazione a livello privato e lavorativo. I problemi più discussi tra i dipendenti che lavorano da remoto includono le sfide generate dalle nuove condizioni, l’isolamento sociale e la mancanza di comunicazione tra colleghi. Ma mentre lavorano da remoto i dipendenti italiani si sentono più connessi. Questo perché per semplificare le comunicazioni utilizzano servizi non aziendali o ‘shadow IT’.  Uno studio di Kaspersky rileva infatti che il 57% dei dipendenti italiani non si sente isolato quando lavora da remoto, al contrario: il 28% di chi lavora da casa riesce a comunicare ancora meglio con i propri colleghi.

Aumenta l’utilizzo di servizi di comunicazione non aziendali

Secondo la ricerca, l’utilizzo di servizi di comunicazione non aziendali è aumentato, un fattore che spiega la miglior connessione tra colleghi, segnalata da più della metà dei dipendenti intervistati. Nonostante la maggior parte dei dipendenti italiani si è adattata con successo alle comunicazioni digitali, il 43% però si sente ancora isolato quando lavora da casa.  Tenuto conto che la solitudine, così come altri fattori demotivanti come stanchezza e ansia, contribuiscono al burnout, questo dato dovrebbe essere motivo di preoccupazione per i dirigenti aziendali.

L’interazione informale tramite software non aziendali facilita la comunicazione

A livello europeo, solo l’utilizzo di servizi di posta elettronica non aziendale è diminuito dal 66% al 63%, ma sono in aumento altri servizi non aziendali come quelli di messaggistica (dal 56% al 58%), i software non aziendali di pianificazione delle risorse (dal 42% al 45%), le piattaforme di web conferencing (dal 79% all’82%) e i social network (dal 62% al 67%). L’interazione informale tra colleghi tramite software non aziendali facilita la comunicazione e dà la sensazione di essere più connessi, ma al contempo fa aumentare i rischi informatici per l’azienda. I cosiddetti servizi ‘shadow IT’ non sono infatti implementati e controllati dai dipartimenti IT aziendali, e potrebbero essere potenzialmente pericolosi.

I reparti IT non controllano l’accesso ai servizi shadow

“Le persone solitamente utilizzano strumenti aggiuntivi per motivi leciti, e non c’è niente di sbagliato se i dipendenti cercano di rendere più semplice il loro lavoro e la comunicazione tra colleghi – commenta Andrey Evdokimov, Head of Information Security di Kaspersky -. Questa situazione si traduce in un aumento del rischio perché durante lo sviluppo di modelli di minaccia, diagrammi di flusso di dati e pianificazione i difensori non prendono in considerazione gli strumenti non autorizzati. Inoltre, i reparti IT non controllano l’accesso ai servizi shadow e i dipendenti rischiano di compromettere preziose informazioni aziendali”.

I trend della ristorazione post Covid

Dalla cucina espressa al look botanico: sono alcuni trend per il settore della ristorazione, emersi dall’analisi delle nuove insegne preferite dai Top Chef italiani coinvolti nei TheFork Restaurants Awards. Dopo la pausa dovuta alla pandemia è infatti tornato il premio organizzato da TheFork con l’obiettivo di valorizzare le nuove insegne. Un’iniziativa oggi più che mai indispensabile per il rilancio del settore della ristorazione post emergenza. Più in particolare, quest’anno i grandi chef hanno nominato 64 ristoranti selezionati tra le nuove aperture o le nuove gestioni avvenute tra gennaio 2019 e agosto 2021.

Green take away e cucina espressa
Nel mondo della ristorazione post Covid si rafforza una tendenza che unisce il piacere del ristorante a quello dello shopping eco, dai vestiti ecosostenibili alle piante, fino alle stoviglie in materiali naturali. Sempre più spesso infatti è possibile recarsi al ristorante, e fare allo stesso tempo shopping in corner green irresistibili. Si conferma poi saldamente anche l’apprezzamento per la ‘cucina espressa’, che esalta e premia l’importanza dell’attesa. Perché ogni singolo piatto è preparato da zero, ogni ingrediente è scelto in modo maniacale per offrire al cliente un particolare aroma, una specifica sensazione, un abbinamento mai osato, che conferma un trend ormai non solo dei ristoranti con molte stelle.

Look botanico e contaminazioni & contrasti
È dimostrato che gli stimoli visivi influiscono sulla percezione del gusto. Molte delle nuove aperture nominate ai TheFork Restaurants Awards 2021 sembrano saperlo molto bene, mostrando una cura particolare non solo negli arredi, ma anche nelle luci e perfino nella musica di sottofondo. Comode sedie in velluto dal gusto retrò sono spesso in contrasto con architetture dal mood industrial, mattoni a vista, volte a botte e sempre con il contorno di un’illuminazione delicata, soffusa e calda. Cucina e brigata a vista, poi, sono un must sempre più diffuso e apprezzato, insieme alla presenza di piante e punti verdi sui muri, e perfino sui soffitti. Ma la contaminazione di stili non è solo nell’arredo: Oriente e Occidente, dolce e acido, cucina etnica tradizionale, proposte creative e cucina italiana si sposano con influenze di altri Paesi. E ancora, accostamenti inediti di carne e pesce, crostacei e selvaggina in un mix di contaminazione e qualità per offrire esperienze nuove e sorprendenti.
Convivialità e ricerca, menu ristretti e attenzione all’ecosostenibilità
Conciliare la ricerca con la soddisfazione del commensale, utilizzando magari tecniche di preparazione e conservazione provenienti dall’Oriente o dal Nord Europa è un fenomeno che tende ad avvicinare all’alta cucina in nome della qualità e della convivialità. Anche in queste nuove aperture di pregio si sta infatti affermando la ricerca di una certa essenzialità: dalla cucina espressa che si traduce in massimo nove piatti al giorno al solo menu degustazione fino allo chef che predilige solo ciò che di fresco trova al mercato del giorno. Il tutto all’insegna della sostenibilità, che risponde alla crescente richiesta del mercato e dei consumatori, sempre più consapevoli alla ricerca di piatti buoni e sani.

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